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L'orrore di El Salvador in un docufilm

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 11 novembre 2013

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/11/11/news/cocaina-e-omicidi-l-orrore-di-el-salvador-in-un-documentario-1.140601)

“Come gli esseri umani possono usare immaginazione e creatività al servizio del bene, così esiste un'immaginazione e una creatività al servizio del male”. Israel Ticas, l'unico archeologo forense che un Paese devastato dalla violenza di massa come El Salvador ha a disposizione, cerca di sintezzare così l'orrore che ogni giorno tocca con mano e respira, scavando nelle fosse alla ricerca di pezzi di esseri umani maciullati dalle due gang rivali che insanguinano El Salvador: la feroce “MS-13” e l'altrettanto feroce “Barrio-18” (o M-18).

“Abbiamo recuperato un bambino e una bambina che erano stati rapiti e ammazzati”, spiega Ticas, raccontando una delle esperienze choccanti che vive ogni giorno. La bambina aveva solo otto anni e in un gesto di disperazione si era offerta alla gang che l'aveva rapita, per cercare di proteggere il fratellino di 5 anni: “la violentarono in 15 con la promessa che così non avrebbero ammazzato il fratello, ma poi spararono prima al bambino e poi a lei”, conclude tenendo a freno l'emotività.

La storia di Israel Ticas è al centro del documentario “El Ingeniero”, diretto da Juan Passarelli e Mathew Charles, che sarà proeittato a Napoli, durante il f estival del cinema dei diritti umani (3-13 dicembre): Giornalista guatemalteco indipendente il primo, ex reporter della BBC il secondo, Passarelli ha indagato sui mercanti del sesso in Sud Africa e sui disperati di Londra. La follia delle bande criminali l'ha respirata per la prima volta a scuola in Guatemala: “il mio migliore amico, alle superiori, era in una gang”, racconta a “l'Espresso”. Charles, invece, ha schivato pallottole in Guatemala e affrontato l'estrema destra in Serbia.

Insieme Passarelli e Charles hanno creato la casa di produzione “Guerrilla Pictures”, che non ha solo l'ambizione di fare buoni film: “noi crediamo che i documentari possano cambiare il mondo”, scrivono sul loro sito . E a credere nel loro film sono stati consulenti e sponsor eccellenti come la documentarista americana Laura Poitras, che insieme a Glenn Greenwald è stata contattata da Edward Snowden e ha ricevuto i file top secret sulla Nsa. Ma soprattutto il film è stato finanziato in parte da WikiLeaks, che da sempre è attiva in America Latina. “Ecco la vera economia globalizzata”, ha commentato Julian Assange, in occasione dell'anteprima del film a Londra, “cocaina a prezzi stracciati per i nasi di Hollywood e montagne di cadaveri in fosse senza nome a San Salvador”.

Traffico di droga, rapimenti, estorsioni sono il core business delle gang salvadoregne, che in Italia hanno fatto notizia per l'arresto di 25 affiliati a MS-13 scattati a Milano nell'ottobre scorso. Nel Salvador dettano legge. E' il più piccolo paese del centro America, ma è anche il più densamente popolato con i suoi 6 milioni di abitanti. Dodici anni di guerra civile finita solo nel 1992 e che ha lasciato sul campo 70mila morti, la disoccupazione, la corruzione e la povertà, in cui vive il 47% della popolazione, rendono El Salvador un inferno in terra.

La criminalità dilaga: secondo le cifre ufficiali diramate dalla stessa polizia del paese centroamericano, nel 2011 il tasso di omicidi è stato di 69 ogni 100.000 abitanti: uno dei più alti al mondo. Più che due gang rivali, MS-13 e M-18 sono due eserciti: secondo l'ultimo rapporto del Congresso americano sul Salvador dell' aprile scorso , tra i 20mila e i 35mila giovani sarebbero affiliati alle “maras” (le gang), ma c'è anche chi stima cifre intorno ai 50mila membri. Dati impressionanti, se si considera che le forze di polizia ammontano a circa 20.500 unità e l'esercito a 14mila. E comunque anche polizia ed esercito non sono campioni di diritti umani: su di loro pendono accuse di tortura e di esecuzioni stragiudiziali.

In teoria, nel 2012 il governo ha trattato una tregua tra le due bande, cercando di mettere fine alla strage, le cifre ufficiali diffuse dal governo sono rassicuranti: “le statistiche dicono che il numero di morti è crollato”, spiega il documentario, “ma nelle strade, la gente racconta una storia diversa”. Ed è questa storia il cuore del documentario: le vittime sparite nel nulla, che non figurano nella conta dei morti ai tempi della tregua. La violenza che racconta “El Ingeniero”, dal soprannome che l'archeologo forense Israel Ticas si è guadagnato, non lascia scampo a nessuno. Uomini, donne, ragazzi, bambini.

I bambini, poi, sono carne da macello. Uno di loro, ripreso nel film con un'immagine volutamente sfocata, spiega come la gang l'ha arruolato: “mi hanno dato un paio di forbici e mi hanno detto: ora tocca a te cavare gli occhi [a un membro della gang rivale, ndr]. Ho fatto quello che mi hanno detto, ma avevo un po' paura, perché ho cominciato a pensare cosa sarebbe successo se in quel momento fosse arrivato Dio e mi avesse sorpreso lì a cavargli gli occhi”.

Le telecamere seguono Ticas nella discesa agli inferi. Giù dentro le fosse di due, tre metri che sventrano le campagne del Salvador. Lui è l'unico archeologo forense che opera in tutto il Paese e deve scovare e riesumare migliaia di cadaveri da solo, supportato da qualche assistente e a volte messo sulle tracce dei morti da qualche pentito che viene portato sui luoghi della sepoltura alla ricerca di indicazioni esatte, con il passamontagna per proteggerne l'identità. Ticas si spalma il naso di Vicks prima di indossare la maschera antigas in modo da cercare di attutire il tanfo della morte, poi si cala nelle cavità zeppe di tronchi umani, ragazzi incaprettati come bestie, esseri maciullati "come carne macinata”, racconta lui.

La morte è la sua compagna. Quando non è dentro qualche fossa a scavare, allora è in ufficio, dove le pareti sono zeppe di foto dei ritrovamenti. Difficile guardarle, perché sono un pugno nello stomaco. Una mostra un brandello di carne da cui spunta un naso: sembra una maschera di cartapesta un po' deforme, invece è un pezzo di volto umano tagliato dalla testa di una vittima come avessero tagliato una fetta di prosciutto. Un'altra mostra un tronco di donna a cui sono stati amputati stinchi e avambracci. E poi teste mozzate. Vittime sfigurate in modo inguardabile, uno con i genitali in bocca, mucchi di braccia, piedi, mani con la carne fresca, rosso sangue. “Alcuni saranno choccati”, dice Mathew Charles, uno dei due registi del film, “ma questa è la realtà vera del Salvador”. E la violenza è raccontata senza spettacolarizzazioni: è dura, atroce, ma scorre di pari passo con l'umanità di Israel Ticas e di quella processione di donne povere, segnate da stenti e traumi, che ogni giorno vanno da lui a piangere, a pregarlo di trovare almeno un corpo, un cadavere da seppellire. In un paese che non riesce a provvedere ai vivi, perché preoccuparsi dei morti?

Ma Israel Ticas non risce a far finta di nulla. E' un diritto umano per lui arrivare a una chiusura, sapere che fine ha fatto una persona cara e avere una tomba su cui piangere. Racconta di una mamma che aveva due figli, uno di 21 anni sparito nel nulla e probabilmente ammazzato per un debito. La donna chiama l'ingeniero da due anni. Non si è rassegnata. Ogni sera apparecchia la tavola per i due figli, con l'altro che chiede: “mamma, perché?”. “Perché ho ancora speranza che torni”, risponde lei. “Ecco queste sono cose...”, dice Ticas, senza continuare. Sono le cose che lo motivano ad andare avanti.

“Perché invece di stare con la mia famiglia in spiaggia, o su un'amaca, sto qui a lavorare con i morti? , dice lui nel film. E poi spiega: “Dicono che io sia matto, ma io rispondo sempre che forse sì, sono matto, ma un matto buono, uno che usa la sua stranezza per fare del bene”.